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ITA – LE DUE MONTAGNE DA SCALARE NELL’ADDESTRAMENTO ALL’USO DELLE ARMI DA FUOCO PER CHIUNQUE VOGLIA PORTARE UN’ARMA NEL MONDO REALE / Parte 2

LE DUE MONTAGNE DA SCALARE NELL’ADDESTRAMENTO ALL’USO DELLE ARMI DA FUOCO PER CHIUNQUE VOGLIA PORTARE UN’ARMA NEL MONDO REALE / Parte 2

Se la prima montagna ti è sembrata difficile, la seconda è certamente peggiore: più ardua, più complessa. Ma è solo dopo averla scalata che si potrà finalmente accedere alla “valle della verità” e, con essa, alle risposte che i pochi che hanno superato la prima montagna stanno cercando.
Cominciamo quindi a studiare la seconda montagna, perché posso garantirti che è scalabile: richiederà impegno, sudore e sacrificio, ma la vetta ripagherà ogni sforzo compiuto per raggiungerla. Io l’ho scalata per la prima volta molti anni fa e da allora non sono più sceso, perché lassù non ci sono nubi: tutto è estremamente chiaro, tutto ha un senso. Quel senso che ho cercato per anni e che, in parte, ancora oggi continuo a cercare.

Ho chiamato questa seconda montagna: “L’illusione dell’invincibilità”.


LA SECONDA MONTAGNA – La bassissima interazione sensoriale nell’ambiente di addestramento, ovvero il poligono di tiro.

Eccoci, signore e signori: questa è la vostra seconda montagna. La più difficile, la più pericolosa, la più subdola, la più letale.
Hai letto bene: la più letale, perché è quella che, se sottovalutata, nel momento in cui dovrai realmente difendere la tua vita — non solo con un’arma da fuoco ma in qualunque LTS (Life-Threatening Situation) — è quella che uccide con un’incidenza superiore a qualsiasi altra dinamica, senza lasciare tracce. Proprio per questo è così sottovalutata e così poco conosciuta.

Cerchiamo di capire come funziona e di cosa stiamo parlando, perché per trovare (o analizzare) soluzioni possibili, dobbiamo prima isolare il problema.

Trattandosi di un tema estremamente complesso e ampio, cercherò di semplificarlo il più possibile, anche in modo drastico — chiedo anticipatamente comprensione a medici e scienziati.


Interazione sensoriale con l’ambiente

Prima di addentrarci nel nucleo più complesso della questione, è necessario conoscere alcuni dati che la scienza oggi ci fornisce con assoluta attendibilità e che ci aiutano a comprendere meglio le principali dinamiche.

Generalmente percepiamo e interagiamo con l’ambiente circostante per:

  • l’83% tramite la vista,

  • l’11% tramite l’udito,

  • il 3,5% tramite l’olfatto,

  • l’1,5% tramite il tatto,

  • l’1% tramite il gusto.

Ovviamente queste percentuali hanno un valore generale che deve essere adattato alla soggettività e servono a indicare la prevalenza sensoriale.
Nel nostro ambito di applicazione, olfatto, tatto e soprattutto gusto hanno una rilevanza pressoché nulla (eccetto in dinamiche specifiche ed estreme).

Tuttavia, questa serie di dati è incompleta, poiché mancano due dinamiche di interazione fondamentali:

  1. Una è empirica e apparentemente non misurabile: il cosiddetto “sesto senso”.

  2. L’altra è assolutamente dimostrabile, complessa da misurare, ma di importanza strategica: la “interazione cognitiva”.

Quest’ultima non è un senso vero e proprio, ma è la regina assoluta dei cinque sensi, con un proprio apparato organico: il cervello, organo del quale molti aspetti rimangono ancora oggi in parte sconosciuti.

I parametri più rilevanti, che considereremo, sono quindi vista e udito, poiché sono i sensi che generano il maggior grado di interazione con l’ambiente.

Nota fondamentale: Questi numeri non sono fissi. Sono soggetti a variazioni rapidissime — possono cambiare alla velocità della luce (300.000 km/s).
Ad esempio, l’83% legato alla vista è soggetto a forti modifiche in funzione della luce percepita. I nostri occhi non sono progettati per vedere al buio, quindi ogni variazione luminosa richiede un adattamento fisiologico.


I tre stimoli più probabili (input) e i tre piani principali di flusso

Dobbiamo distinguere ciò che è possibile da ciò che è probabile.
Un evento è possibile se non vi sono impedimenti al suo verificarsi. È probabile se ha maggiori possibilità di accadere rispetto al contrario.

Nel nostro contesto operativo, gli stimoli più probabili sono:

  • Stimoli visivi

  • Stimoli uditivi

  • Stimoli cognitivi e neuro-motori

Questi rappresentano le principali dinamiche di interazione sensoriale, con flussi costanti di informazioni da elaborare in tempo reale da parte del cervello.


Attraversare una strada trafficata – Azione semplice con alti flussi di interazione

Userò questo esempio per chiarire meglio il concetto.
Attraversare una strada è un’azione comune che richiede attenzione ma che molti considerano semplice. In realtà, si basa sulla conoscenza pregressa degli stimoli principali e sull’elevata frequenza con cui compiamo quell’azione.

Durante questa azione, il nostro cervello elabora enormi flussi di stimoli:

  • Visivamente, rileva posizione, distanza, traiettoria e velocità di ogni elemento nel nostro campo visivo (FOV – Field of View), identificando potenziali pericoli.

  • Uditivamente, discrimina suoni rilevanti dal rumore ambientale, ne rileva direzione e distanza, determinando priorità di reazione.

Tutto ciò avviene in pochi secondi, spesso mentre siamo distratti (ad esempio parlando al cellulare), aggiungendo ulteriori stimoli da elaborare.


Il poligono di tiro – Il nostro ambiente di addestramento

L’ambiente di addestramento con armi da fuoco, descritto nella “prima montagna”, è caratterizzato da una bassissima stimolazione sensoriale.

Perché?

  • È un ambiente controllato, statico, bidimensionale.

  • Gli elementi visivi (bersagli) sono statici, noti, poco dettagliati, spesso pre-conosciuti.

  • Le condizioni di luce sono generalmente ottimali, quindi la stimolazione visiva è minima.

Sotto il profilo uditivo è anche peggio:

  • I suoni presenti sono limitati a tre tipi: rumore degli spari, voci (nostra e di chi ci sta vicino), e segnale del timer acustico (BEEP).

  • Tutti preconosciuti, già sentiti migliaia di volte.

Pertanto, il 94% dell’interazione sensoriale è a bassissima intensità.
Se dovessi assegnare un valore ipotetico, direi 75% di stimolazione per l’attraversamento della strada e 3% per il poligono.


Gli standard globali nella valutazione del tiro

Oggi il 98% dei test di qualifica al tiro e delle esercitazioni di valutazione si basa su due soli parametri:

  1. Tempo, misurato con timer acustico.

  2. Efficacia, valutata tramite l’analisi dei colpi sul bersaglio.

Questo vale a livello globale: ambito militare (MIL), forze di polizia (LE), e settore civile (difensivo e sportivo).
Ciò significa che l’abilità di un soggetto nel maneggiare e utilizzare un’arma da fuoco è valutata quasi esclusivamente su questi due parametri.

Ora, è vero che tempo ed efficacia sono parametri fondamentali, ma il punto critico è come e quando considerarli.
Entrambi dipendono da un processo preliminare che oggi viene completamente ignorato.

Se un tiratore spara 10 colpi a 10 yarde in 3 secondi, ottenendo 10 colpi Alpha in un gruppo stretto, il risultato viene considerato ottimo. Ma attenzione:
Quei 3 secondi non rappresentano il suo “tempo di reazione”, bensì il suo “tempo meccanico”, cioè il tempo di esecuzione di una reazione semplice.

Reazione semplice vs. reazione complessa

La differenza è nella natura degli stimoli: se sono pre-conosciuti o meno, e nella frequenza con cui si è già risposto a quegli stessi stimoli.

In sintesi, tutte le prove di tiro oggi sono basate su:

  • Dinamiche predefinite,

  • Bersagli pre-conosciuti,

  • Azioni preparate,

  • Stimolo uditivo unico (il BEEP),

  • Conoscenza anticipata dell’inizio dell’azione.

Sul poligono:

  • Agiamo sempre per primi rispetto al bersaglio,

  • Siamo gli unici a sparare,

  • L’interazione è unilaterale e prevedibile.

Comprenderai quindi che tutto questo non può essere considerato “tempo di reazione”, né tantomeno “tempo di risposta immediata”.
Ogni volta che commettiamo questo errore, creiamo una pericolosa cicatrice addestrativa, oltre a compromettere la valutazione reale delle capacità operative del soggetto.