LE 2 MONTAGNE DA SCALARE NELL’ADDESTRAMENTO CON LE ARMI DA FUOCO, PER CHIUNQUE VUOLE PORTARE UN’ARMA DA FUOCO NEL MONDO REALE
Quando parliamo di addestramento con armi da fuoco finalizzato al porto ed all’applicazione dell’arma nel contesto reale e quindi al di fuori del poligono di tiro, ci troveremo necessariamente a dover scalare due montagne altissime ed impervie e non sarà per niente facile.
Questo però non è nemmeno il problema più grande, perché il paradosso è che pur essendo davanti a tutti e pur essendo montagne enormi, sembrano essere invisibili alla maggior parte delle persone, compresa la maggior parte degli addetti ai lavori.
Questo accade per vari motivi, che però non tratterò in questo scritto ma in un articolo dedicato che sto già scrivendo.
Tornando al nocciolo dell’argomento tecnico che stiamo trattando, iniziamo a delineare la prima montagna e cerchiamo di capirne le difficoltà.
– LA PRIMA MONTAGNA: La ridondanza degli ambienti
La prima montagna è costituita da quella che definisco la Ridondanza degli Ambienti, ovvero la pertinenza e la corrispondenza che esiste tra i due ambienti fondamentali: l’Ambiente Formativo e l’Ambiente Applicativo.
In ogni ambito, disciplina o materia in cui vi sia una fase di formazione, studio, preparazione teorica attraverso la quale si formano conoscenze e competenze specifiche, necessarie per poi giungere alla fase pratica e successivamente alla fase applicativa o allo svolgimento della professione, del lavoro, dell’attività in cui si uniscono le due fasi precedenti (teoria e pratica), vi saranno due ambienti, quello formativo e quello applicativo.
Logicamente, in tutte le discipline si cerca di creare e ricreare un ambiente formativo il più possibile simile e pertinente a quello applicativo. Questo riduce enormemente la possibilità che il discente si trovi di fronte ad una condizione nuova mai affrontata prima nell’ambiente formativo e quindi riduce il rischio di dover affrontare dinamiche e criticità nuove e non valutate durante lo studio e la formazione, che potrebbero richiedere competenze non precedentemente formate. Non solo, maggiore è la pertinenza dei due ambienti, maggiore è l’accuratezza nella valutazione delle attitudini, competenze e capacità del candidato (studente) da parte di chi deve valutarlo.
Ora, traducendo questo concetto generale al mondo dell’addestramento con le armi da fuoco, iniziamo a delineare e definire i due ambienti fondamentali: quello addestrativo e quello applicativo.
Partiamo da quello addestrativo comune a chiunque utilizzi un’arma da fuoco per addestramento, ovvero il poligono di tiro. I poligoni di tiro sono strutture create appositamente per consentire l’uso sicuro delle armi da fuoco. Tuttavia, all’interno del poligono sono presenti delle regole di sicurezza per il maneggio delle armi da fuoco, necessarie per mantenere e preservare il livello di sicurezza della struttura, immaginiamo ad esempio gli angoli di sicurezza nel brandeggio dell’arma, essenziali per impedire un colpo sparato sopra o all’esterno del contenimento balistico (backstop/pareti laterali).
La configurazione, la morfologia strutturale e la presenza di queste regole rendono il poligono di tiro un ambiente controllato per definizione.
– Il tiratore sportivo
Bene, ora prendiamo l’esempio del tiratore sportivo. Il tiratore sportivo, come chiunque altro utilizzi un’arma da fuoco in allenamento, si allena all’interno del poligono di tiro, che sarà quindi a tutti gli effetti il suo ambiente di allenamento. Al poligono si allenerà e lavorerà per creare, implementare e migliorare le sue abilità, finalizzando questo lavoro verso lo svolgimento di gare ed eventualmente vincerle.
Ma dove si svolgono le gare, che rappresentano la fase applicativa di lui?
All’interno di un poligono di tiro, quindi in un ambiente identico a quello in cui si è allenato, possiamo quindi dire che il tiratore sportivo ha il 100% di pertinenza tra l’ambiente di allenamento e l’ambiente applicativo.
Non solo, il tiratore sportivo avrà piena efficienza nell’applicazione del ciclo: Allenamento – Applicazione – Problema – Allenamento – Ricerca di una soluzione – Applicazione (problema risolto).
-Tutti coloro che portano un’arma da fuoco per difesa.
Ora prendiamo invece come esempio un agente di polizia o un civile che porta un’arma da fuoco per difesa. Entrambi si alleneranno all’interno di un poligono di tiro esattamente come il tiratore sportivo, quindi tutti e tre avranno il poligono di tiro come ambiente di allenamento comune, ma dove andranno poi per applicare gli ultimi due con la loro arma da fuoco? Nel contesto reale.
La domanda successiva è ovvia ed è: cosa hanno in comune i due ambienti, ovvero il poligono di tiro e il contesto reale? La risposta è ancora più semplice: assolutamente nulla.
– Il poligono di tiro e l’ambiente reale
Il poligono di tiro è un ambiente costruito per l’uso delle armi da fuoco, il contesto reale non lo è.
Il poligono di tiro è un ambiente bidimensionale, il contesto reale è tridimensionale.
Il poligono di tiro è solitamente morfologicamente omogeneo e piatto, l’ambiente reale è morfologicamente eterogeneo e costituito da livelli e dislivelli naturali e artificiali.
Se mi muovo usando un’arma da fuoco all’interno del poligono, l’ambiente balistico intorno a me sarà omogeneo, non avrò nessuno davanti alla mia volata tranne il bersaglio ed il rischio di effetti collaterali sarà minimo o nullo rispetto le norme di sicurezza.
Se mi muovo usando l’arma da fuoco in un contesto reale, avrò un ambiente balistico eterogeneo attorno a me, potrei avere altre persone davanti a me e il rischio di effetti collaterali sarà molto alto.
Al poligono, il 98% del mio tempo di addestramento sarà durante le ore diurne, ma nel mondo reale porto un’arma da fuoco giorno e notte, oltre l’80% dei crimini violenti vengono commessi durante le ore buie e se mi ritrovo ad usare la mia arma da fuoco in un ambiente con scarsa illuminazione, verrò proiettato in un’ulteriore nuova condizione mai affrontata prima e significativamente più complessa.
Al poligono uso l’arma al 97% da una posizione eretta, verticale, perpendicolare al terreno, parallela al bersaglio che è anche perpendicolare al piano orizzontale, senza ostacoli o impedimenti diretti, ovvero stiamo parlando della condizione migliore, più facile e più semplice in termini di biomeccanica. Nel contesto reale potrei trovarmi a dover usare la mia arma da fuoco partendo da quelle che sono considerate posizioni non convenzionali all’interno dell’ambiente del poligono di tiro, ma assolutamente naturali ed ordinarie nella vita di tutti i giorni nel contesto reale, come essere seduto ad un tavolo in un ristorante o all’interno di un veicolo o alla stazione della metropolitana, essere sdraiato, avere le mani occupate, salire una rampa di scale, tutte condizioni che non trovo al poligono o che non alleno in ogni caso. Quindi mi chiedo se la bella frase “allenati mentre combatti” che è diventata il credo della comunità tattica, sia valida solo quando ci fa comodo o solo per le cose più superflue?
Il poligono di tiro è un ambiente prevalentemente statico in cui posso avere condizioni semi-dinamiche, in cui al massimo ho bersagli statici o semi-statici (bobber o mover) e il tiratore è l’elemento dinamico.
Il contesto reale è un ambiente assolutamente dinamico in cui ho un numero N di elementi dinamici a 360° attorno a me in cui eventuali bersagli (minacce) saranno probabilmente anch’essi dinamici e in cui noi saremo solo uno dei tanti elementi dinamici attorno a me.
Nel poligono di tiro sono obbligato (ed è assolutamente corretto) ad utilizzare dispositivi di protezione acustica, che mi proteggono dal rumore dello sparo. Nel contesto reale non avrò alcun dispositivo di protezione e nella migliore delle ipotesi andrò in shock acustico o nella peggiore potrei subire lesioni ai timpani, in ogni caso mi troverò a dover gestire una condizione psicofisica e fisiologica nuova e molto complessa, specie se sommata alla fase di stress generata dall’evento critico in cui sono costretto ad usare un’arma da fuoco per difendermi dalla vita.
– Conclusioni:
Quindi, per riassumere, mi troverò ad applicare in un ambiente completamente nuovo rispetto a quello in cui mi sono allenato e mi alleno, un ambiente sconosciuto per quel tipo di applicazione, un ambiente che mi richiederà competenze che probabilmente non avrò, un ambiente in cui mi troverò ad affrontare dinamiche critiche, mai affrontate prima in allenamento.
Un ambiente estremamente più complesso del mio ambiente di allenamento in cui sarò costretto a prendere decisioni irreversibili che potrebbero cambiare per sempre il corso della mia vita, in tempi che possono essere compressi in pochi decimi di secondo.
Ci sarebbe molto altro da dire, ma mi fermo qui perché forse uno su 1000 di voi avrà letto fin qui, perché imparare è spesso noioso, perché affrontare seriamente l’argomento non è tattico e non è cool, è meglio continuare a fare rumore sul campo facendo finta di niente, illudendosi che questa montagna non esista.
Meglio semplificare tutto al livello di “lento è liscio, liscio è veloce” e tutti sono felici e ben allenati.
A tutti coloro che non vedono questa montagna o che non hanno intenzione di provare a scalarla, dico loro: “buona fortuna là fuori”, perché è l’unica cosa su cui potete contare.
A quei pochi che vogliono provare a scalarla, dico loro: “ci vediamo sulla parete” ma sarà dura!!!
PARTE 2
Se la prima montagna sembrava dura, la seconda è sicuramente peggiore e decisamente più dura e complessa, ma è solo dopo questa che finalmente potremo accedere alla “valle della verità” e con essa alle risposte che quei pochi che hanno scalato la prima montagna stanno cercando.
Allora iniziamo a studiare la seconda montagna, perché vi posso garantire che è scalabile, ci vorrà fatica, sudore, sacrificio ma la cima vi ripagherà di tutti gli sforzi fatti per arrivarci. Io l’ho scalata molti anni fa per la prima volta e da allora non ci sono più sceso, perché lassù non ci sono nuvole, tutto è estremamente chiaro, tutto ha un senso, quel senso che cerco da anni e che in parte sto ancora ricercando.
La seconda montagna l’ho chiamata “l’illusione dell’invincibilità”
LA SECONDA MONTAGNA – La bassissima interazione sensoriale nell’ambiente di allenamento, ovvero il poligono di tiro.
Eccoci qui signore e signori, questa è la vostra seconda montagna, la più difficile, la più pericolosa, la più subdola, la più letale. Avete letto bene, la più letale, perché è quella che se sottovalutata, il giorno in cui vi dovete trovare a difendere la vostra vita non solo con un’arma da fuoco ma in una qualsiasi LTS (Life-Threatening Situation), questa uccide con maggiore incidenza di qualsiasi altra dinamica, senza lasciare traccia ed è per questo che è così sottovalutata e così poco conosciuta.
Cerchiamo di capire come funziona e di cosa stiamo parlando, perché per trovare o analizzare possibili soluzioni, dobbiamo prima isolare il problema.
Essendo un argomento estremamente complesso e vasto, cercherò di semplificarlo il più possibile, facendolo in modo drastico così che medici e scienziati non se ne prendano gioco.
– Interazione sensoriale con l’ambiente
Prima di addentrarci nella materia e nel suo nucleo più complesso, dobbiamo conoscere alcuni dati, alcuni numeri che la scienza oggi ci offre con assoluta attendibilità e di cui abbiamo bisogno per comprendere meglio le dinamiche principali.
Noi generalmente percepiamo ed interagiamo con l’ambiente circostante per l’83% attraverso gli occhi, quindi attraverso il senso della vista, per l’11% attraverso le orecchie, quindi attraverso il senso dell’udito, per il 3,50% attraverso l’olfatto, per l’1,50% attraverso il tatto e per l’1% attraverso il gusto, ovviamente queste percentuali hanno una base generale che deve poi adattarsi alla soggettività e servire ad indicare la prevalenza sensoriale. Ora nella parte del soggetto e nel campo di applicazione di cui ci stiamo occupando, olfatto, tatto e soprattutto gusto hanno una rilevanza pressoché insignificante (ad eccezione di alcune dinamiche specifiche ed estreme in cui olfatto e tatto possono essere determinanti).
In realtà però questa serie di dati è incompleta anche se apparentemente traccia tutti e cinque i sensi, ma è incompleta perché mancano due dinamiche di interazione estremamente importanti: la prima è puramente empirica e apparentemente scientificamente non misurabile o verificabile, il cosiddetto “sesto senso” e l’altra è assolutamente dimostrabile, complessa da misurare, ma di importanza strategica: cioè “l’interazione cognitiva”.
Quest’ultimo non è un vero e proprio “senso” ma è la regina assoluta di tutti e cinque i sensi, ha anch’esso un suo “apparato organico” il cervello, organo di cui molti dei suoi aspetti maggiori sono ancora oggi sconosciuti.
I numeri/parametri più importanti e che prenderemo in considerazione sono quindi quelli legati alle maggiori interazioni con l’ambiente, ovvero i primi due quelli relativi alla vista e all’udito.
A questo proposito dobbiamo necessariamente fare una precisazione, che ci tornerà utile in seguito per capire come organizzare il lavoro che dovremo fare quando costruiremo le nostre zone di comfort invertite. Queste percentuali, questi numeri non sono fissi, sono tutti soggetti a cambiamenti e alterazioni che possono essere estremamente rapide e che potrebbero viaggiare a una velocità di 300.000 km/s che non è altro che la velocità della luce nell’aria. Signori, per farvi un esempio, il nostro 83% proveniente dalla vista è il nostro senso principale, ma cambia al variare di vari fattori, principalmente uno, quello della luce. I nostri occhi non sono fatti per vedere al buio ed ogni sensibile cambiamento nella “luce percepita” genera un adattamento nel nostro sistema visivo e richiede un tempo fisiologico di adattamento e compensazione alla nuova condizione. Fuori dall’ambiente naturale, in quello artificiale è possibile passare da una condizione di luce ottimale a una condizione di buio assoluto in pochi millisecondi.
– I 3 stimoli (input) più probabili e i 3 principali piani di flusso
Quando parliamo di stimoli probabili dobbiamo stare attenti a non confondere ciò che è possibile con ciò che è probabile, perché un evento è possibile quando non ci sono impedimenti perché si verifichi. Un evento è probabile quando la possibilità del suo verificarsi è maggiore di quella del suo non verificarsi. Quindi quando parliamo di stimoli più probabili stiamo quindi parlando di stimoli che hanno più probabilità di verificarsi rispetto ad altri e quindi hanno una frequenza maggiore.
Nel nostro campo applicativo di interesse sono gli Stimoli Visivi, Uditivi e quelli legati alle Abilità Cognitive e Neuro-Motorie. Saranno queste le principali dinamiche di interazione con cui dovremo misurarci e saranno anche i livelli sensoriali che produrranno i maggiori flussi di stimoli, flussi costanti di informazioni che dovranno essere elaborate dal nostro cervello in tempo reale.
– Attraversare una strada trafficata. Azione semplice con alti flussi di interazione.
Utilizzerò questo esempio per fare un paragone che può aiutarti a comprendere meglio il problema.
Attraversare una strada è considerata da tutti un’azione semplice e ordinaria, che richiede certamente attenzione, ma che non presenta particolari difficoltà. In realtà la semplicità è data da una condizione di pre-conoscenza degli stimoli maggiori, dalla frequenza/ripetizione con cui abbiamo già eseguito quell’azione, ma durante quella breve azione il nostro cervello svolge un lavoro enorme e straordinario in termini di interazione sensoriale, ovvero di analisi e razionalizzazione degli alti flussi di stimoli provenienti dall’ambiente circostante.
Bisogna sapere che attraverso l’apparato sensoriale, il nostro cervello è in grado a livello visivo di rilevare la posizione di qualsiasi elemento statico e dinamico presente nel nostro campo visivo o FOV (Field of View). Non solo, è in grado di calcolare la distanza approssimativa da noi, la traiettoria del movimento, la velocità approssimativa, l’eventuale intersezione della nostra traiettoria con quella di uno o più elementi in movimento attorno a noi, tracciando in tempo reale un potenziale pericolo creando una risposta neuromotoria immediata. Pensate ad un’auto o una moto che sopraggiunge a gran velocità mentre attraversiamo la strada. A livello uditivo, è in grado di percepire gli stimoli estrapolandoli e discriminandoli dall’inquinamento acustico di fondo, che è assolutamente elevato nelle nostre città, è in grado di tracciare la direzione di provenienza dello stimolo e la distanza approssimativa della fonte dello stimolo rispetto alla nostra posizione e quindi la sua possibile priorità di elaborazione. Pensate al rumore di un motore ad alti regimi, al rumore prodotto dagli pneumatici di un’auto in curva o al rumore prodotto da questi durante una brusca frenata o al rumore di un clacson.
Bene, ora pensate che questa azione avviene solitamente in un tempo piuttosto breve, spesso (purtroppo) anche mentre stiamo magari parlando al cellulare, quindi con la produzione e l’assorbimento di altri flussi di informazioni e stimoli che devono essere elaborati anch’essi in tempo reale, e che si aggiungono al processo di analisi dei già elevatissimi flussi di stimoli provenienti dall’ambiente circostante.
– Il poligono di tiro, il nostro ambiente di allenamento
Il nostro ambiente di allenamento con l’arma da fuoco, che abbiamo descritto in dettaglio nella prima montagna, è quindi un ambiente che si definisce a bassissima stimolazione sensoriale, ma analizziamo attentamente perché. Intanto il poligono di tiro è un ambiente controllato, bidimensionale e statico, quindi a livello visivo non ci sono elementi dinamici, ma prevalentemente elementi statici e se ci sono elementi semi-statici, sono comunque prenoti, con traiettorie e movimento prenoti. Gli elementi da discriminare (bersagli) sono evidenti, estremamente poco dettagliati, bidimensionali e quasi sempre prenoti. Le condizioni di luce sono, come già detto, normalmente ottimali quindi a livello visivo abbiamo pochissima stimolazione e generalmente basata su elementi statici prenoti.
A livello uditivo le cose vanno ancora peggio, per logica e caratteristiche, i poligoni di tiro sono ambienti a bassissima stimolazione uditiva e troviamo principalmente 3 tipi di stimoli: il rumore dello sparo, la nostra voce e quella di chi ci sta vicino, e il suono dell’eventuale fono-cronometro (timer dello sparo) o il famoso BEEEP di cui parleremo più avanti. Quindi a livello uditivo non c’è nulla da discriminare, non c’è inquinamento acustico da cui estrapolare stimoli fondamentali, tutti gli stimoli uditivi sono prenoti e già percepiti in precedenza migliaia e migliaia di volte.
Quindi il 94% dell’interazione sensoriale è da considerarsi assolutamente di bassissima intensità e se empiricamente dovessimo assegnare un valore di intensità ipotetica all’interazione sensoriale dei due esempi fatti, assegnerei il 75% all’attraversamento della strada trafficata e il 3% al poligono di tiro.
– Gli standard globali nella valutazione del tiro
Oggi il 98% delle prove di abilitazione al tiro, prove o esercitazioni di valutazione del tiro, prove o protocolli di mantenimento si basano unicamente su due parametri: Tempo ed Efficacia. Il tempo si misura con il fono-cronometro (timer di tiro), l’efficacia attraverso l’analisi del risultato sul bersaglio.
Questo a livello globale ed in tutti gli ambienti partendo dal MIL, passando per LE e arrivando a quello Civile, sia difensivo che sportivo.
Questo significa quindi che le capacità ed il livello tecnico di un soggetto relativamente all’applicazione dell’arma nel tiro e nel maneggio vengono valutati principalmente o unicamente attraverso quei 2 parametri.
Ora, va detto che tempo ed efficacia sono certamente due parametri fondamentali e che certamente vanno presi in considerazione, ma il punto è: come e quando farlo, perché entrambi sono subordinati adun processo preliminare fondamentale che invece viene totalmente ignorato.
Infatti, il problema principale della condizione odierna non sta nella scelta dei parametri di riferimento, ma nell’interpretazione data ai dati risultanti dalle analisi fatte dalla stragrande maggioranza delle Agenzie.
Mi spiego meglio, se un tiratore spara 10 colpi ad un bersaglio a 10 yds in un tempo di circa 3 secondi, partendo dall’estrazione e il risultato è 10 Alpha e fa un raggruppamento molto concentrato, secondo quei due parametri ha eseguito un’ottima prestazione ed ha dimostrato velocità e precisione oltre che costanza. Potremmo essere tutti d’accordo su questo, ma se poi consideriamo quei 3 secondi il suo tempo di reattività effettivo, commettiamo un errore enorme, perché non stiamo misurando affatto il suo tempo di reazione ma il suo “tempo meccanico” ovvero il tempo con cui avviene quella che viene chiamata una “reazione semplice”.
Qual è la differenza tra una reazione semplice ed una complessa e non solo a livello neuromotorio?
La differenza è data dal tipo di stimoli a cui si risponde, cioè se questi sono prenoti o meno, e dalla frequenza con cui si è risposto in precedenza a quegli stessi stimoli.
Quindi, facendo un’analisi generale delle condizioni con cui oggi valutiamo le capacità relative al maneggio ed all’uso di un’arma da fuoco da parte di un soggetto, possiamo dire che:
qualsiasi esercizio di tiro, qualsiasi prova di tiro, qualsiasi protocollo di valutazione si basa su dinamiche prenoti, su bersagli quasi sempre prenoti, su azioni prenoti, rispondendo ad un unico stimolo uditivo, anch’esso prenoto, estremamente lungo, il beep (durata media 0,20), con la consapevolezza dell’imminenza dell’azione. Sul poligono ci muoveremo sempre per primi rispetto al bersaglio, saremo i primi a sparare e anche gli unici a farlo.
Capirete da soli che tutto questo è ben lontano dal poter essere considerato “tempo di reattività” o “tempo di risposta immediata” e ogni volta che commetteremo questo errore creeremo quella che viene definita una pericolosa cicatrice formativa, oltre a commettere un grave errore di valutazione sul soggetto che ha eseguito il test.