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ITA -Il Rumore, il Metodo e il Cervello: Anatomia di un Esercizio e del Vuoto che lo Circonda

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Il Rumore, il Metodo e il Cervello: Anatomia di un Esercizio e del Vuoto che lo Circonda
Recentemente ho condiviso un semplice video di circa 30 secondi, un frammento tecnico tra i tanti. Mostrava un esercizio eseguito in DRY-SIM, con una piattaforma corta e l’ausilio di strumenti essenziali, economici, alla portata di chiunque. Un drill a rischio zero, pensato per essere applicabile, sostenibile, realistico. Nulla di esotico, nulla di inaccessibile. Solo struttura, coerenza, metodo.
Quell’esercizio fa parte di un programma di training ben più ampio: il NeuroShooting, il modello pionieristico che ho ideato per portare il tiro professionale oltre i limiti del modello meccanico, là dove la scienza oggi ci consente di arrivare. Una metodologia che integra neuroscienze, biomeccanica, neuroplasticità e applicazione reale dell’arma in contesti non predittivi. Perché, al contrario di ciò che molti credono, non è il dito a farci premere il trigger, è il cervello. E se alleni il dito ma non il cervello, stai solo allenando un riflesso vuoto, non una vera capacità di adattamento.
Il Rumore della Superficialità
Il video è diventato virale. Seconda volta in assoluto che un contenuto DRY-SIM raggiunge numeri da “virale”, un piccolo record, se si considera quanto il mercato tenda a ignorare o rigettare tutto ciò che non sia puro intrattenimento dentro a un poligono.
Ma la viralità ha un prezzo.
Quello che ho ricevuto in cambio non sono state domande o osservazioni tecniche: sono stati commenti. Decine, centinaia. Alcuni negativi, alcuni offensivi, molti semplicemente senza alcun senso e completamente vuoti.
Giudizi personali, sterili, intrisi di una sicurezza tanto rumorosa quanto priva di fondamento. Nessuno di questi presentava dati, studi, riferimenti scientifici o evidenze che confutassero quanto avevo condiviso. Al contrario, mi si chiedeva di fornire ancora più prove, come se la spiegazione già offerta, pur semplificata per un pubblico ampio, non fosse sufficiente. Come se fosse normale contestare qualcosa che non si è nemmeno compreso.
La Distorsione del “Realismo”
Un tratto che spicca nei commenti è l’assoluta confusione tra allenamento e scenario operativo. Molti definiscono questo drill “non realistico”, come se dovesse riprodurre fedelmente una situazione reale. È un po’ come dire a un pugile che il sacco non è realistico perché non restituisce i colpi, o a un pilota di Formula 1 che il condizionamento psicofisico fuori dalla vettura sia inutile perché “non ci sono curve”.
Allo stesso tempo, però, si definiscono “realistici” corsi veicolari in team venduti a civili, nonostante i casi reali di applicazione siano praticamente inesistenti e le situazioni proposte risultino inapplicabili nel mondo concreto.
Oppure si elogia la presunta “realtà” di corsi CQB scenografici e accattivanti, offerti nel settore civile a chi, spesso, a malapena sa impugnare un’arma, ma viene comunque catapultato in dinamiche operative estremamente complesse, impegnative persino per un professionista.
È sconcertante e paradossale, ma perfettamente in linea con la mentalità dominante di questo settore, dove l’apparenza tattica prevale ogni giorno sulla sostanza scientifica, sia in poligono sia sui social media. E in questa prospettiva, tutto finisce per avere un senso, anche se non dovrebbe averne affatto.
Giudicare Senza Sapere e Senza Provare
E qui nasce la vera domanda: come si può giudicare un esercizio tecnico, con basi biomeccaniche e neuroscientifiche complesse, dopo aver visto 30 secondi di un video su un social?
Come si può contestare qualcosa che non si è mai provato, mai testato, mai misurato in termini di risultato?
Come si può avere l’arroganza di chiamarsi “esperti” senza averne né le competenze né la curiosità?
Io quell’esercizio l’ho spiegato. L’ho argomentato. L’ho condiviso gratuitamente, come faccio da anni con gran parte dei contenuti tecnici che produco. Non ho mai detto che fosse l’unico modo, né il migliore. Ho detto che è efficace, perché l’ho visto funzionare. Ho lasciato che a parlare fossero i risultati. Ma tutto questo non conta, non quando si toccano nervi scoperti.
Il vero problema non è l’esercizio: è che non si conforma alla massa. Non segue il metodo empirico dominante, fatto di automatismi, leggende tramandate e routine da poligono.
Non alimenta i trend redditizi del mercato civile. E allora, per molti, diventa una minaccia. Un corpo estraneo da espellere, non da comprendere.
Scienza Contro Tradizione Empirica
L’industria del tiro è ancora oggi imbrigliata in una struttura arcaica, statica, chiusa.
Un mondo che esalta il gesto meccanico e ignora ciò che la scienza dimostra con chiarezza: il contesto reale non è predittivo, e le risposte efficaci non possono esserlo.
Allenarsi solo sul piano meccanico significa allenare risposte predittive in ambienti controllati. Ma là fuori, nel mondo reale, non c’è predittività. C’è adattamento.
E l’adattamento non nasce dal gesto ripetuto. Nasce dal cervello. Nasce dallo stressor. Nasce dal disturbo. Nasce dall’interferenza.
Allenarsi senza coinvolgere il cervello è come studiare per anni la danza… e poi pretendere di ballare su un terreno che crolla sotto i piedi.
Scienza: Essenziale ma Scomoda
La realtà è che la scienza non si presta a romanzi tattici, né a storie di guerra “da bar.” Si vende male perché richiede studio, ricerca, sperimentazione e aggiornamento continuo, oltre a solide competenze da parte dei formatori. È un approccio serio, strutturato, etico, che impone sacrifici, dedizione, sudore e anni di formazione senza scorciatoie.
L’apparenza tattica, invece, necessita solo di un costume da “Pro” nel weekend, con qualche accessorio inutile ma d’impatto, una carta di credito e una connessione internet. E nasce il “tiratore medio tattico,” perfettamente allineato alle mode del mercato civile.
Conclusione: Il Coraggio di Andare Oltre
Non siamo più negli anni ’60. Oggi disponiamo di dati, strumenti e scoperte neuroscientifiche in grado di demolire molti dogmi su cui questa industria si è adagiata per decenni. Ma serve il coraggio di uscire dalla comfort zone del poligono e rimettere in discussione il mantra del “si è sempre fatto così.”
Io continuerò a condividere, a spiegare, a sperimentare, a studiare. Perché la conoscenza è un bene comune, e se non crea progresso, a cosa serve davvero?
E a chi preferisce gridare invece di informarsi, giudicare invece di provare, o replicare invece di comprendere, rispondo con una sola cosa:
Il problema non è quello che hai visto.
Il problema è che non hai capito ciò che hai visto e non hai visto ciò che dovevi capire.
Allenatevi duramente, ma fatelo con intelligenza!