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In anni di studio e applicazione professionale, ho maturato una certezza: il GRIP costituisce l’80% dell’intera meccanica del tiro. È la chiave assoluta dell’interazione tra il tiratore e la piattaforma. È il punto di contatto, il nodo di trasferimento dell’energia, l’elemento primario nel controllo del rinculo e nella direzione delle forze reattive. Eppure, nonostante la sua centralità, il GRIP resta oggi uno degli aspetti più fraintesi, approssimati e male interpretati dell’intero panorama addestrativo e operativo.
Il motivo? L’assenza di un metodo condiviso e scientificamente validato. Il tiro viene spesso ridotto a una serie di esercizi ripetuti, svuotati della necessaria comprensione biomeccanica e neurologica. E così, concetti distorti continuano a circolare come verità assolute.
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“70% mano di supporto – 30% mano forte”.
Questa frase riecheggia da anni in ogni corso di tiro. È diventata una verità accettata, trasmessa da istruttori, manuali e persino da professionisti di settore. Secondo questa teoria, la mano che impugna l’arma e controlla il trigger dovrebbe applicare una pressione inferiore rispetto alla mano di supporto. Una distribuzione delle forze apparentemente logica, ma mai validata realmente.
Anch’io, per lungo tempo, ho ripetuto quel mantra. Con una sola attenuante: ho sempre sostenuto che quel “70/30” fosse più che altro un espediente didattico per sensibilizzare lo studente, e non un rapporto realmente applicabile. Bastava proporre un semplice esercizio dimostrativo – incrociare le mani e simulare la pressione differenziata – per mostrarne l’incoerenza funzionale.
Ma oggi posso affermarlo con certezza scientifica: quel rapporto è non solo errato, ma diametralmente opposto alla realtà misurabile.
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Per superare i limiti dell’empirismo, ho deciso di strutturare uno studio sperimentale con approccio scientifico, finalizzato a misurare in modo oggettivo la forza esercitata dalle mani durante l’impugnatura e il tiro. Il primo passo è stato dotarsi di strumenti adatti: dinamometri capaci di replicare la presa su piattaforme semiautomatiche half size (G19) e full size (G17, G45), tra le più comuni nel contesto operativo e addestrativo, sia civile che istituzionale.
Accanto ai sensori di forza, abbiamo impiegato sistemi di ripresa ad alta definizione per l’analisi fotomeccanica e biomeccanica delle sequenze di fuoco. Fotogramma per fotogramma, gesto per gesto, abbiamo sezionato ogni elemento del ciclo meccanico, analizzando come le forze si distribuiscono realmente tra le mani durante le fasi di impugnatura, sparo e controllo del rinculo.
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I dati ottenuti sono chiari, precisi, verificabili. E soprattutto demolitori. La verità è questa:
La mano forte esercita una forza da 2 a 4 volte superiore rispetto alla mano di supporto.
Ecco alcuni dati estrapolati da alcuni dei test condotti durante lo studio:
• Durante la manipolazione dell’arma, sia in fase statica, che dinamica finalizzata al controllo della piattaforma, la forza media esercitata dalla sola mano forte oscilla tra i 3 ed i 9 kg.
• Durante la fase principale ed attiva di tiro, la mano forte applica in media una forza che oscilla tra 20 ed i 30 kg.
• La mano di supporto, nella fase attiva di tiro, esercita invece una forza media che oscilla tra i 5 ed i 10 kg.
Questi dati provengono da soggetti maschili di corporatura media, impiegando le piattaforme semiautomatiche di varie misure tra le più diffuse nel settore operativo e da difesa a livello globale.
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L’errore didattico nasce da un’incomprensione biomeccanica: l’idea che un supporto attivo debba “sopportare” più forza per compensare la dinamicità del tiro. Ma la realtà neuro-muscolare del gesto smentisce tutto questo. Il braccio forte è il canale principale di trasmissione e controllo dell’energia: è lì che si concentra l’azione, l’equilibrio, la resistenza al rinculo. La mano di supporto è un moltiplicatore, non il protagonista.
Le riprese ad alta velocità mostrano un’altra verità taciuta: in condizioni di fuoco reale, è la mano forte a reagire per prima, ad adattare il grip, a compensare il muzzle rise e a ristabilire l’allineamento. La mano di supporto segue, ma non guida. Non può, per limiti strutturali e per logica funzionale.
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Questo studio dimostra quanto sia urgente superare l’era dei dogmi ripetuti senza verifica.
Il tiro non è una disciplina empirica. È un sistema biomeccanico e neuromotorio complesso, e come tale va affrontato: con metodo, misurazioni, dati e responsabilità didattica.
Chi insegna oggi ha un compito chiaro: aggiornare il proprio linguaggio tecnico e abbandonare le formule semplificate che nulla hanno a che vedere con la realtà meccanica del gesto. Un errore trasmesso in aula si trasforma, sul campo, in instabilità, inefficacia e rischio.
Il GRIP non è un’impressione soggettiva. È un’interfaccia strutturale tra corpo e macchina, un gesto misurabile, replicabile, ottimizzabile.
Un fondamento scientifico della meccanica del tiro.
